01Lug

Alimentazione per la fertilità: non esiste una dieta che va bene per tutte (e ti spiego perché)

Alimentazione e fertilità: facciamo chiarezza

Non sei la sola. Sempre più donne si avvicinano all’idea che l’alimentazione possa supportare il concepimento… ma spesso vengono lasciate con una lunga lista di “alimenti sì e alimenti no” senza una vera strategia personalizzata.

In questo articolo voglio chiarire un punto fondamentale: non esiste una dieta per la fertilità che vada bene per tutte.
Esiste la tua alimentazione per la fertilità, perché ogni donna ha una storia diversa, con esigenze e condizioni che vanno comprese prima di decidere cosa mangiare per aumentare la fertilità.

Tre donne, tre approcci alimentari diversi

Vediamo insieme tre esempi molto comuni nel mio lavoro quotidiano con le pazienti: endometriosi, PCOS (sindrome dell’ovaio policistico) ed età superiore ai 35 anni.
Tutte cercano una gravidanza. Ma nessuna di loro può seguire lo stesso piano alimentare.

1. Endometriosi e fertilità

L’endometriosi è una condizione infiammatoria cronica che può ostacolare il concepimento e causare dolore.
In questi casi l’alimentazione può aiutare a:

  • ridurre lo stato infiammatorio sistemico

  • supportare il microbiota intestinale

  • alleviare i sintomi gastrointestinali e pelvici

🔹 Cosa mangiare se hai l’endometriosi:
Alimenti ricchi di antiossidanti, grassi buoni (omega-3), fibre vegetali. È utile ridurre zuccheri semplici, grassi saturi e prodotti ultraprocessati. L’apporto delle fibre va modulato in base ai sintomi gastrointestinali.

2. PCOS e ricerca di gravidanza

La PCOS è tra le principali cause di anovulazione e difficoltà a concepire. È legata a squilibri ormonali e, spesso, a insulino-resistenza.

In questi casi, il piano alimentare deve puntare su:

  • migliorare la sensibilità insulinica (in combo all’attività fisica)

  • regolare il ciclo mestruale

  • ridurre il rischio infiammatorio

🔹 Cosa mangiare se hai la PCOS:
Pasti bilanciati con carboidrati integrali, proteine di qualità, grassi sani. In alcuni casi strategie come la dieta low carb o la dieta ciclica o la dieta chetogenica possono dare un impatto maggiore.

3. Fertilità dopo i 35 anni

Con l’età, la fertilità fisiologicamente si riduce, ma non è un punto di non ritorno. L’obiettivo dell’alimentazione in questa fase è:

  • sostenere la qualità ovocitaria

  • proteggere le cellule dallo stress ossidativo

  • supportare l’equilibrio ormonale

🔹 Cosa mangiare dopo i 35 anni se cerchi una gravidanza:
Frutta e verdura di stagione, semi oleosi, legumi, pesce azzurro. Attenzione a un apporto adeguato di micronutrienti (come folati, zinco, vitamina D).
Se ci sono problematiche ormonali, vanno tenute in considerazione.


Perché la dieta per la fertilità deve essere personalizzata?

Perché ogni donna ha bisogni diversi.
Una dieta “per la fertilità” ha senso solo se:

  • parte da una diagnosi medica chiara (se presente)

  • tiene conto della tua storia, del tuo ciclo, dei tuoi sintomi

  • si adatta al tuo stile di vita e alla tua sostenibilità quotidiana

Senza questi elementi, la dieta rischia di diventare un generico “mangia sano” che può anche non funzionare.

Un esempio? Se hai cercato info sull’alimentazione per la fertilità, ti sarai sicuramente imbattuta nel mito dell’avocado. Ecco, l’avocado è un’ottima fonte di grassi sani utili in caso di endometriosi e miglioramento della qualità ovocitaria, ma se sono presenti sintomi intestinali simili a IBS (sindrome dell’intestino irritabile), potrebbe in alcuni casi sollecitare troppo l’intestino creando gonfiore e discomfort.

Personalizzare vuol dire proprio questo: partire dall’anamnesi per trovare l’alimentazione più adatta a ottimizzare la tua fertilità.


Conclusione

L’alimentazione può essere un alleato prezioso per la fertilità, ma solo se personalizzata.
Se hai sentito parlare di alimenti “che fanno bene per concepire” e ti senti confusa, sappi che è normale: l’informazione generica non basta.

Sono la dott.ssa Sara Nanì, biologa nutrizionista esperta in alimentazione per la fertilità.
Aiuto donne (e coppie) che cercano una gravidanza – naturalmente o con PMA – a costruire un piano alimentare e d’integrazione per il loro percorso di ricerca gravidanza.

 Se vuoi capire da dove iniziare, puoi contattarmi per una consulenza o scrivermi direttamente qui.

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01Lug

Alimentazione e Fecondazione Assistita: come la dieta influisce sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA)

Se stai affrontando un percorso di fecondazione assistita, saprai che ogni dettaglio può fare la differenza. Uno degli aspetti più importanti, ma spesso sottovalutati, è l’alimentazione. Scegliere una dieta adeguata può influenzare positivamente le possibilità di successo della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).
In questo articolo, esploreremo come le giuste scelte alimentari possono supportare il tuo percorso di fecondazione assistita e come un nutrizionista specializzato può aiutarti a migliorare le tue probabilità di concepimento.

1. Evitare i picchi glicemici per migliorare la qualità degli ovociti

Un elemento fondamentale per chi si sottopone a trattamenti di PMA è il controllo dei livelli di zucchero nel sangue. Diversi studi hanno dimostrato che seguire una dieta a basso indice glicemico può migliorare la qualità degli ovociti e ottimizzare la risposta ovarica. Perciò, evitare i picchi glicemici non solo promuove la salute generale, ma può anche aumentare le possibilità di successo durante la fecondazione assistita.

Alimenti come cereali integrali, legumi e verdure a foglia verde sono ottimi per mantenere stabili i livelli di glicemia, contribuendo a un ambiente più favorevole per il concepimento.

2. Antiossidanti: Vitamina C, Vitamina E e Selenio per la qualità ovocitaria e spermatica

Gli antiossidanti svolgono un ruolo cruciale nella protezione delle cellule riproduttive dallo stress ossidativo, un fattore che può compromettere la qualità degli ovociti e degli spermatozoi. Vitamine come la C e la E, insieme al selenio, sono potenti alleati in questo processo.

Integrare nella tua dieta alimenti ricchi di antiossidanti, come frutta, verdura e noci, può migliorare significativamente la qualità delle cellule riproduttive supportando il successo dei trattamenti di PMA.

3. Grassi sani vs. grassi trans: l’impatto sull’ovulazione e sulla qualità degli spermatozoi

La qualità dei grassi che consumi può influire notevolmente sulla tua fertilità. I grassi trans, presenti in molti cibi processati e fritti, sono noti per avere un impatto negativo sulla funzione ovulatoria. D’altra parte, i grassi sani, come quelli presenti nel pesce grasso, nelle noci, nell’olio d’oliva e nell’avocado, possono migliorare la qualità degli ovociti e degli spermatozoi.

Includere questi grassi sani nella tua dieta è una strategia chiave per migliorare le membrane cellulari di ovocita e spermatozoo e le possibilità di successo della fecondazione assistita.

4. Il fattore tempo

Diversi studi hanno confermato come stile di vita e quindi anche l’alimentazione possano migliorare la qualità dei gameti (ovocita e spermatozoi).
Il tempo è però importante. Non basta cambiare alimentazione una settimana prima del percorso per avere dei benefici.

Il tempo minimo per poter dare un contributo è di 3 mesi prima dell’inizio del percorso per la donna e di 2 mesi prima per l’uomo.

In alcuni casi questo tempo può non bastare. Dipende dallo stato di salute generale, da patologie pregresse, dallo stato ormonale, dallo stato del microbiota, da eventuali infezioni ricorrenti, ecc

Il percorso nutrizionale di affiancamento alla PMA è appunto un percorso dove si valuta man mano l’andamento. E’ un percorso che non si conclude al primo transfer con beta negative, ma che si modella man mano nei vari tentativi.

L’obiettivo è migliorare sempre di più lo stato di salute e preparare l’organismo a “essere casa”.

 

Se stai cercando un nutrizionista per accompagnarti nel tuo viaggio verso la maternità, non esitare a contattarmi. Insieme, possiamo creare un piano alimentare che supporti al meglio le tue esigenze e migliori le tue possibilità di concepimento.

 

Foto di Priyanka Singh su Unsplash

25Ago

Candida, fattori di rischio e diagnosi

Chi non ha mai sofferto almeno una volta nella vita di Candida o meglio Candidosi?

In questo articolo vi parlerò di cos’è la Candida ed in particolar modo di quella vulvovaginale, quali sono i fattori di rischio per la Candidosi e come si diagnostica.

A seguire pubblicherò altri due articoli: uno sulla dieta in presenza di Candidosi e l’altro sulle cosiddette terapia complementari non farmacologiche.

Cos’è la Candida?

La Candida è un fungo comunemente presente nel microbiota di tutto il tratto gastro-intestinale di un soggetto sano.

Normalmente è presente in piccoli numeri tenuta a bada dai nostri batteri e dal nostro sistema immunitario. Quando l’equilibrio della nostra flora intestinale (o microbiota) viene alterato o il sistema immunitario è indebolito, la Candida inizia a sovracrescere diventando patogena, si parla quindi di Candidosi.

La Candidosi può colpire diverse aree del nostro corpo: genitali (vulvovaginiti), ano, bocca (detta mughetto), unghie (onicomicosi), perfino l’utero.

Le Candidosi vulvovaginali sono le infezioni genitali più frequenti dopo quelle batteriche. Circa il 75% delle donne ha avuto almeno un episodio di Candidosi vulvovaginale nella vita e il 40-50% almeno due episodi [1].

I ceppi di Candida sono diversi, ma la stragrande maggioranza delle Candidosi è dovuta alla Candida albicans. Invece, in caso di Candidosi vulvovaginali resistenti ai farmaci di routine, si tratta spesso di specie di Candida diverse dalla albicans.

Quali fattori di rischio espongono alla Candidosi vulvovaginale?

Estrogeni

Le Candidosi si presentano soprattutto in età fertile quando gli estrogeni sono più alti. Sono assenti in età pre-puberale e in età post-menopausale quando gli estrogeni sono più bassi.

In gravidanza, sono frequenti nel terzo trimestre quando i valori di progesterone ed estrogeno sono elevati.

Anche l’uso di contraccettivi orali come la pillola anticoncezionale predispone al rischio di Candidosi.

Sembra infatti che gli estrogeni siano in grado di aumentare la capacità di aderenza della Candida alla mucosa vaginale e di aumentare la lunghezza delle ife (filamenti) con cui la Candida diventa più virulenta [2].

L’uso di dispositivi intrauterini, come la spirale, può anch’esso favorire le Candidosi dando una superficie su cui poter aderire e creare biofilm (aggregazione di più cellule) resistenti ai farmaci [2].

Antibiotici

È stato riscontrato un aumento di Candidosi vulvovaginali successivamente a una terapia antibiotica. Tale dato non è però una certezza assoluta perché dipende dalla “salute” della flora vaginale. Non tutte le donne che hanno assunto antibiotici avranno una Candidosi e non tutte le donne che hanno una Candidosi hanno assunto antibiotici [2].

Secrezioni digestive carenti

Le secrezioni digestive come l’acido cloridrico, la bile e gli enzimi pancreatici sono necessarie non solo per una corretta digestione ma anche per evitare la sovracrescita della Candida e il suo attecchimento alla superficie del tratto gastro-intestinale. L’assunzione di farmaci antiacidi e antiulcera portano a un grande rischio di infezioni nel tratto gastro-intestinale e alla sovracrescita di Candida nello stomaco.
Nel debellare Candidosi croniche è fondamentale ripristinare il corretto equilibrio delle secrezioni digestive [1].

Diabete

Alcuni studi hanno mostrato che gli episodi ricorrenti di Candidosi sono più frequenti nelle donne diabetiche rispetto alle donne non diabetiche con una maggior presenza di ceppi di Candida non albicans. 

Il diabete favorisce il legame della Candida all’epitelio vaginale e l’eccesso di zuccheri le dà nutrimento [2].

Farmaci e patologie

Tutte le patologie che vanno a indebolire il sistema immunitario in maniera diretta o per via dei farmaci assunti, possono predisporre alla Candidosi. Tali patologie sono il cancro, la leucemia, l’ AIDS, le disfunzioni tiroidee e tutte quelle patologie per cui è necessario assumere farmaci cortisonici/immunosoppressori e antibiotici [1].

Obesità

L’obesità incide sulla biodiversità del microbiota infatti, nei soggetti obesi, è stato riscontrata una maggior presenza di Candida, Penicillium e Nakaseomyces. Tale correlazione dipende dal tipo di dieta seguita dai soggetti che porta non solo all’obesità ma influenza anche il microbiota [3].

Altri fattori

Anche lo stress cronico e una ridotta capacità antiossidante possono predisporre a Candidosi ricorrenti  [2].

Non sembra esserci correlazione invece con spermicidi, profilattici e abiti stretti e sintetici [2]. La mancata correlazione con gli abiti mi ha stupita perché viene riportata ovunque ma la review di Cauchiea et al. di due anni fa la smentisce.

Come si diagnostica una Candidosi vulvovaginale?

Per la diagnosi non basta avere i tipici segnali clinici come prurito, bruciore, edema e perdite vaginali biancastre “a ricotta”. Ai segnali clinici deve far seguito una rilevazione della Candida in vagina tramite analisi al microscopio di piccole quantità di secreto vaginale o tramite tampone vaginale [2].

È bene rivolgersi quindi al medico o al ginecologo che potrà consigliare la terapia farmacologica più appropriata.

L’uso a casaccio di antimicotici può portare a forme di resistenza della Candida difficili poi da debellare.

La Candidosi, in qualsiasi area del corpo si presenti, va curata. Trascurare una Candidosi potrebbe portare a reazioni sistemiche molto più importanti.

Dieta anti-Candida?

Esiste una dieta anti-Candida? Vi dico già che non esistono delle linee guida ufficiali per la gestione di una Candidosi ma ci sono studi che danno indicazioni su alcuni piccoli accorgimenti che si possono adottare in associazione alla terapia farmacologica. Ve ne parlerò nel prossimo articolo!  😉

Fonti

[1] Martins, N., Ferreira, I.C.F.R., Barros, L. et al. Mycopathologia (2014) 177: 223. https://doi.org/10.1007/s11046-014-9749-1

[2] Cauchiea, M., Desmeta, S., Lagrou, K., Research in Microbiology (2017) Volume 168, Issues 9–10, November–December 2017, Pages 802-810. https://doi.org/10.1016/j.resmic.2017.02.005

[3] Li, J., Chen, D., Yu, B. et al. Microb Ecol (2018) 75: 821. https://doi.org/10.1007/s00248-017-1105-9