09Feb

Dieta chetogenica: cos’è e per chi è utile

Dieta chetogenica: cos’è?

La dieta chetogenica è una dieta nata nei primi anni del ‘900 come approccio terapeutico alternativo all’epilessia in bambini resistenti ai farmaci.
Tutto era iniziato dalle osservazioni secondo cui dopo 2-3 giorni di digiuno, le crisi epilettiche diminuivano drasticamente. Fu però il Dott. Russel Wilder della Mayo Clinic ad inventare una dieta che permettesse di avere gli effetti benefici del digiuno senza però astenersi totalmente dal cibo, nacque così la dieta chetogenica.

La dieta chetogenica è sempre normoproteica ed ipoglucidica. La quantità di grassi varia invece in base all’obiettivo. Normoproteica vuol dire che l’assunzione delle proteine rispetta il fabbisogno giornaliero e non è assolutamente un’iperproteica come molti pensano.
E’ ipoglucidica ovvero a ridotto contenuto di carboidrati per permettere l’ingresso ed il mantenimento della chetosi. La quantità dei grassi dipende invece dallo scopo per cui la si segue. Un bambino epilettico seguirà quasi certamente una chetogenica normocalorica, ciò vuol dire che il resto delle calorie giornaliere non coperte da proteine e carboidrati devono essere coperte dai grassi.
Diverso è il caso di chi la segue per dimagrire.

La chetosi

La dieta chetogenica è così chiamata perché caratterizzata dalla chetosi.

La chetosi è quel meccanismo che si instaura nei periodi di digiuno vero o simulato quando le riserve di glucosio presenti nell’organismo – il glicogeno – sono andate esaurite. Non essendoci più glucosio in circolo, l’organismo inizia ad usare i grassi di deposito o alimentari per produrre corpi chetonici come fonte energetica alternativa. Tale meccanismo rimane costante finché non si reintroducono alimenti ricchi di carboidrati.

Punto fondamentale da chiarire è che è un meccanismo del tutto fisiologico e si differenzia nettamente dalla chetoacidosi diabetica. La chetoacidosi diabetica è una condizione che si instaura in presenza di diabete di tipo 1 quando i livelli di glicemia sono molto alti e quelli di insulina molto bassi. E’ un fenomeno che avviene se il diabete di tipo 1 non è stato ancora diagnosticato o in caso di sospensione/gestione errata della terapia insulinica.
In tal caso l’overproduzione di corpi chetonici supera di gran lunga i 20 mmol/dL, mentre nella dieta chetogenica oscilla tra i 4-10 mmol/dL. Inoltre, in condizioni normali o in una dieta chetogenica, il pH del sangue si mantiene a 7.4, in presenza di chetoacidosi scende sotto 7.3. Se questo processo non viene bloccato si può facilmente entrare in coma e rischiare la morte.

Ma tranquilli…se non soffrite di diabete di tipo 1 non correte nessun rischio, avrete una chetosi del tutto fisiologica.

Perché seguirla?

La prima applicazione fu sull’epilessia negli anni ’20. Negli anni ’70 è tornata in auge ma come protocollo dimagrante. Oggi le applicazioni sono diverse e spesso hanno uno scopo del tutto terapeutico.
E’ possibile applicare la dieta chetogenica nei disordini endocrini come il diabete di tipo 2, l’obesità, la sindrome metabolica, PCOS (sindrome dell’ovaio policistico), l’iperinsulinemia congenita, la steatosi epatica non alcolica.
In caso di disordini neurologici la si applica nell’epilessia farmaco-resistente come già accennato, nella sindrome di Lennox-Gastaut, nell’epilessia miocrono astatica, nel morbo di Parkinson, nel morbo di Alzheimer, nella sclerosi laterale amiotrofica, nell’emicrania e cefalea, nella narcolessia, nella depressione e nell’autismo.
La dieta chetogenica trova applicazione anche in problematiche del metabolismo come la sindrome da deficit di GLUT1, nel deficit di piruvato deidrogenasi, nel deficit della fosfofruttochinasi ed in presenza di cancro.

Cosa mangiare?

Affinché si instauri la chetosi, è fondamentale ridurre drasticamente l’apporto di carboidrati ed eliminare pasta, pane, patate e affini, ma anche legumi e frutta. Le uniche fonti di carboidrati devono essere le verdure. La preferenza dovrà cadere quindi su fonti proteiche come carne o pesceverdure (escludendo quelle più amidacee o più ricche di carboidrati) e fonti di grassi buoni.

Vi chiederete “e a colazione cosa mangio”? Se vogliamo rimanere sulla colazione dolce, ahimè, la natura non ci aiuta. Il problema si risolve con le proteine in polvere. Le proteine in polvere vengono estratte principalmente dal siero del latte (whey protein), ma possono essere estratte anche da fonti vegetali come la canapa, i piselli o la più comune soia. Le proteine in polvere possono essere aromatizzate (cioccolato, vaniglia, fragola, ecc) come drink da bere oppure si possono usare i pasti sostitutivi proteici. I pasti sostitutivi si trovano sotto forma di prodotti da forno (fette biscottate, crackers, plum cake), barrette al cioccolato o perfino pasta e riso proteica.
Simulare quindi un’alimentazione normale è abbastanza semplice soprattutto per chi segue la dieta chetogenica non a scopo dimagrante ma a scopo terapeutico per lunghi periodi o addirittura tutta la vita.

Oltre alla scelta chiara e precisa degli alimenti, è fondamentale una corretta integrazione con sali minerali, vitamine ed eventualmente probiotici e fibre. L’integrazione dei sali minerali è una condizione fondamentale per mantenere il giusto equilibrio elettrolitico, in quanto, la dieta chetogenica è molto diuretica e la perdita di sali è ben superiore a quelli introdotti con i cibi.

Sintomi

I primi 3-4 giorni di astensione dai carboidrati possono portare a sintomi come mal di testa, debolezza, spossatezza. Tali sintomi spariranno con l’ingresso in chetosi e lasceranno il posto ad una grande energia ed all’assenza di fame.

Controindicazioni

La dieta chetogenica non può essere seguita da tutti, ma è attualmente sconsigliata in caso di:

  • Insufficienza renale
  • Insufficienza cardiaca
  • Insufficienza epatica
  • Diabete di 1 tipo
  • Gravidanza e allattamento
  • Aritmie cardiache
  • Infarto, TIA o ictus pregressi (ultimi 12 mesi)
  • Neoplasie
  • Malattie psichiatriche
  • Disturbi del comportamento alimentare
  • Terapia cronica con diuretici
  • Età minore di 14 anni e maggiore di 70 anni

Consigli

Se avete deciso di seguire questo approccio alimentare dovete affidarvi prima di tutto ad un professionista (dietologo, biologo nutrizionista, dietista) che possa stilare un piano alimentare adatto a voi solo dopo aver raccolto la vostra anamnesi fisio-patologica ed essersi assicurato che non ci siano controindicazioni.
In approcci restrittivi e particolari, il fai da tè è altamente sconsigliato e rischioso.

Vuoi scoprire la chetogenica in relazione al dimagrimento? Leggi La dieta chetogenica per dimagrire velocemente

 

Bibliografia

The Ketogenic Diet – Lyle McDonald

Ketogenic diet in endocrine disorders: Current perspectives

09Feb

La dieta chetogenica per dimagrire velocemente

La dieta chetogenica, dopo la sua prima comparsa negli anni ’20, è sparita dalla scena fino a ricomparire negli anni ’70 con due versioni diverse e come “terapia” all’obesità: la dieta Atkins e la dieta PSMF.

Oggi viene utilizzata in molteplici casistiche e ne ho parlato nell’articolo Dieta chetogenica: cos’è e per chi è utile.

Ma tornando all’obesità ecco gli approcci utilizzati.

La dieta Atkins prevede la riduzione drastica dei carboidrati e l’assunzione ad libitum di proteine e grassi. Secondo il Dr. Atkins ciò era possibile in quanto, un soggetto che riduce drasticamente i carboidrati, andrà automaticamente a ridurre l’introito calorico anche se può mangiare proteine e grassi a volontà per un maggior senso di sazietà. Le critiche principali mosse a sfavore della dieta Atkins furono l’assunzione smodata di grassi e la sua efficacia sul dimagrimento in quanto non sempre era facile instaurare un deficit calorico fondamentale per la perdita di peso.

La dieta PSMF o SPMF (Protein Sparing Modified Fast) ovvero digiuno modificato per il risparmio proteico prevede invece l’apporto di proteine di alta qualità per risparmiare le proteine della massa magra ma secondo il fabbisogno fisiologico quindi in relazione ai kg di massa magra o di peso corporeo. In questo caso l’apporto calorico è molto basso, si aggira intorno alle 600-800 kcal e deriva principalmente dalle proteine.

Per il dimagrimento oggi si applica soprattutto il protocollo VLCD ovvero very low calorie diet con un introito calorico giornaliero sotto le 1200 kcal e protocolli modificati della dieta SPMF come il protocollo Blackburn o dieta oloproteica che vanno anche sotto le 800 kcal.

Una dieta chetogenica per il dimagrimento è: normoproteica (introito proteico normale in rapporto al peso ideale), ipoglucidica (carboidrati non oltre i 20-50 g al giorno) e ipolipidica. Per il dimagrimento è importante che la dieta apporti un deficit calorico ed è per questo motivo che deve essere ipolipidica ovvero a ridotto contenuto di grassi.

Le fasi

Una dieta chetogenica per il dimagrimento si suddivide principalmente in due fasi: la fase chetogenica dimagrante e la fase di transizione.

Fase chetogenica

E’ la prima fase ed è caratterizzata dalla chetosi. Per entrare in chetosi servono in genere 3-4 giorni di adattamento in cui l’organismo passa dall’utilizzo del glucosio come fonte energetica ai corpi chetonici. Durante la chetosi si ha una forte diuresi e perdita di elettroliti per cui è fondamentale bere almeno 2 litri di acqua al giorno, salare abbondantemente i cibi ed assumere degli integratori di sali e vitamine. La fase chetogenica può durare dalle 2 alle 12 settimane.

Fase di transizione

E’ una fase delicata tanto quanto la precedente. La reintroduzione degli alimenti esclusi nella prima fase e l’aumento calorico deve avvenire poco alla volta e seguendo delle tappe ben precise. Una reintroduzione graduale porterà ad un mantenimento del peso perduto e soprattutto alla sua stabilizzazione. La sua durata è almeno uguale o superiore a quella chetogenica. Finita questa fase, se si hanno ancora chili da perdere si potrà ripetere nuovamente la fase chetogenica oppure andare in mantenimento.

Fase di mantenimento

E’ la fase finale che segue qualsiasi dieta a scopo dimagrante. E’ la fase in cui si impara a mantenere i chili persi e si definisce un vero e proprio stile alimentare a lungo termine. Si potrà seguire una dieta mediterranea classica o approcci più specifici e consoni al proprio stato di salute.

Vantaggi della dieta chetogenica

La scelta di un approccio dietetico di questo tipo può sembrare molto drastico e restrittivo ma i vantaggi non sono sicuramente pochi.

Primo fra tutti il dimagrimento veloce. Il fatto di essere a basso introito calorico permette sicuramente un dimagrimento veloce seppur mantenendo la massa muscolare, cosa che non accade con altri tipi di diete se l’introito calorico non è più alto e l’apporto proteico leggermente aumentato.

Dimagrimento veloce non vuol dire però perdita generica di kg. Con la dieta chetogenica si ha un vero dimagrimento ovvero la perdita di massa grassa che viene utilizzata per produrre corpi chetonici, il combustibile alternativo al glucosio dei carboidrati durante la chetosi.

Altro vantaggio non indifferente è l’assenza di fame. I corpi chetonici vengono detti anche “anoressizzanti” proprio perché sopprimono l’appetito.  Inoltre, non essendoci carboidrati si ha la calma insulinica che evita quei repentini e fastidiosi attacchi di fame.

Cosa mangiare e perché?

Quando l’obiettivo di questo approccio è il dimagrimento, vi consiglio di non seguire un piano alimentare con soli alimenti al 100%, ma di fare una dieta mista a proteine in polvere e/o prodotti sostitutivi proteici.
Il motivo è che sarà più facile mantenere un introito calorico basso e quindi un dimagrimento più veloce.
Inoltre sarà più facile mantenere la massa magra in quanto le proteine di questi prodotti sono ad alto valore biologico e di più facile assimilazione rispetto a quelle degli alimenti naturali.
Spesso si è portati a pensare che questi prodotti siano molto costosi. In realtà non c’è molta differenza tra acquistare carne e pesce e fare un ordine di questi prodotti se non per il fatto che con l’ordine dovrete pagare tutto subito e non settimanalmente come la spesa al supermercato.

Tornando a “cosa mangiare”, si parla di dieta classica chetogenica o mitigata/mista chetogenica.

La dieta classica chetogenica è la dieta in cui le fonti proteiche derivano solo da proteine in polvere e pasti sostitutivi proteici. In questo caso gli unici alimenti veri sono le verdure di accompagnamento.
E’ l’approccio utilizzato quando si hanno tanti chili da perdere come nell’obesità o in preparazione alla chirurgia bariatrica. E’ anche l’approccio che massimizza il dimagrimento, quindi il massimo dei chili in poco tempo.
Il vantaggio è quello di non dover pesare nulla perché gli alimenti sostitutivi sono già porzionati.

La dieta mitigata o mista è la dieta in cui un pasto principale (pranzo o cena) è costituito da cibi proteici freschi (in genere carne o pesce magri), rimane costante la verdura fresca a pranzo e a cena e negli altri pasti i prodotti sostitutivi. Questo approccio può essere seguito subito dopo un periodo di dieta classica chetogenica oppure fin dall’inizio. Ha un dimagrimento un po’ più lento del precedente ma permette una maggiore convivialità.

In tutti casi vale la regola dell’integrazione obbligatoria di sali minerali e vitamine come anticipato nel precedente articolo Dieta chetogenica: cos’è e per chi è utile.
Altrettanto consigliate sono le integrazioni di fibre solubili come quella di psyllium o di probiotici.
Esistono poi delle integrazioni che possono personalizzare il protocollo e renderlo ancora più efficace e mirato ai propri obiettivi come quella degli omega 3 o di drenanti cellulari.

Ultimo consiglio: è un approccio dietetico che porta ad un dimagrimento molto veloce, ciò non vuol dire che una volta finito il protocollo, si può ricominciare a mangiare di tutto e di più.
Il primo cambiamento deve avvenire a livello mentale.
La dieta chetogenica per il dimagrimento è solo un ottimo strumento per ridurre i tempi e raggiungere prima uno stato di benessere ottimale!

01Set

Candida e dieta: quali alimenti possono favorirla

Nell’articolo precedente Candida, fattori di rischio e diagnosi ho parlato di quali possono essere i fattori che predispongono verso la Candidosi e come viene diagnosticata una Candidosi vaginale.

In questo articolo ci focalizzeremo invece sull’alimentazione.

Cosa sappiamo sulla dieta anti-Candida?

Precisiamo innanzitutto che non esistono al momento delle linee guida nutrizionali per la Candidosi nonostante sia provato che la dieta influisca sull’equilibrio del microbiota.

Diversi studi hanno però cercato di dedurre quale alimentazione possa favorirla, vediamone alcuni.

Studio [1]

È stato dimostrato che una dieta, a supporto della terapia farmacologica, può aiutare a risolvere la Candidosi più della sola terapia farmacologica. Dopo 3 mesi vi era un miglioramento netto dei sintomi e l’assenza di Candida nelle feci nell’ 85% dei casi del gruppo “dieta + farmaco” rispetto al 42.5% di chi assumeva solo il farmaco.
La dieta seguita da questi soggetti escludeva:

  • gli alimenti contenenti zuccheri semplici come miele, marmellata, caramelle, gelato e frutta più zuccherina come uva e anguria
  • gli alimenti troppo amidacei con farina bianca come pane, pasta, biscotti, torte, pasta, riso bianco, lenticchie, fagioli bianchi, patate
  • carne grassa e lavorata difficile da digerire come prosciutto, pancetta, salame, salsicce, arrosti, fatta alla griglia, carne rossa (maiale, manzo, montone, pollo), interiora.
    Piccola nota sul pollo inteso come carne rossa: in America la coscia e sovracoscia di pollo sono considerate carne rossa, penso che questi studiosi abbiano inteso la stessa cosa.
  • latte e derivati come formaggio spalmabile, cheddar e simili, formaggi con la muffa
  • alcolici e aceto

Erano permessi invece:

  • stevia e dolcificanti artificiali nelle bevande e ai pasti
  • una massimo due porzioni al giorno di frutta escludendo quella più zuccherina
  • pane e pasta integrali, patate cotte con la buccia, riso integrale
  • pesce preferibilmente di mare come sgombro, nasello, tonno, sardine, salmone, frutti di mare, carne di pollo bianca e poco grassa minimo 2 volte a settimana
  • yogurt e bevande contenenti Lattobacilli acidophilus

Tali soggetti oltre all’alcol avevano escluso anche il fumo e avevano assunto diversi integratori indicati dagli studiosi.

Studio [2]

Una dieta recente alta in carboidrati è associata a un aumento di Candida. La stessa correlazione non è stata trovata con una dieta ricca in aminoacidi, proteine e acidi grassi.

Studio [3]

Nel 2017 è stata studiata la correlazione con la dieta mediterranea. I soggetti che aderivano di più alla dieta mediterranea, avevano una presenza maggiore di Candida. Gli autori hanno spiegato tale dato ipotizzando che l’alta aderenza alla dieta coincidesse con un maggior consumo di cibi ricchi di lieviti, frutta, succhi e prodotti fermentati.

In altri due studi [4,5] è stata trovata la correlazione con i cereali raffinati, le patate, gli zuccheri raffinati, succhi di frutta, cibi con lieviti e funghi come formaggi, bevande alcoliche e frutta disidratata.

Martins et al. [5] consigliano di evitare:

  • zuccheri raffinati (saccarosio, fruttosio, sciroppo di mais), succhi di frutta, miele, sciroppo d’acero
  • fonti di funghi e lieviti come bevande alcoliche, frutta essiccata, formaggi, arachidi
  • fonti di lattosio e antibiotici come i latticini
  • cibi allergenici come latticini, uova, cioccolato, cibi fritti e processati, grano e arachidi
  • limitare mais e patate

Consigliano di consumare verdura e frutta (mele, pere, mirtilli e frutti rossi), pesce, carne e pollame biologici, cereali integrali e semi di lino tritati.

Quale dieta seguire?

Dopo l’excursus appena fatto, è chiaro che non esiste un protocollo dietetico definito.

Tra le varie diete proposte ci sono però degli elementi in comune.

Da quello che emerge, la Candida è alimentata soprattutto dagli zuccheri sia come zuccheri semplici che come eccesso di carboidrati in generale (ricordiamo il diabete come fattore di rischio nell’articolo precedente).

Possiamo quindi pensare che ridurre gli zuccheri semplici e gli alimenti con farine raffinate possa sicuramente aiutare e non solo per la Candida. Prediligere quindi alimenti con farina integrale e non solo di frumento, sì a carne, pesce e pollame, attenzione ai latticini e alla frutta troppo zuccherina. Da evitare alimenti fermentati e con lieviti o funghi come formaggi, alcolici, bevande zuccherine.

In attesa di linee guida ufficiali, queste indicazioni possono essere utili come affiancamento alla terapia farmacologica per risolvere in tempi più brevi la Candidosi.

Fonti

[1] Otašević, S., Momčilović, S., Petrović, M., et al. Journal de Mycologie Médicale (2018) Volume 28, Issue 4, December 2018, Pages 623-627 https://doi.org/10.1016/j.mycmed.2018.08.002

[2] Hoffmann, C., Dollive, S., Grunberg, S., et al. PLOS ONE (2013), 8(6): e66019. https://doi:10.1371/journal.pone.0066019

[3] Mitsou, E., Kakali, A., Antonopoulou, S., et al. (2017).  British Journal of Nutrition,117(12), 1645-1655. doi:10.1017/S0007114517001593

[4] Jeziorek M., Frej-Mądrzak M., Choroszy-Król I. Rocz Panstw Zakl Hig. 2019;70(2):195-200. https://doi.org/10.32394/rpzh.2019.0070

[5] Martins, N., Ferreira, I., Barros, L., et al. Mycopathologia (2014) 177:223–240 doi: 10.1007/s11046-014-9749-1.

13Dic

Fertilità e dieta nella donna

L’infertilità è l’assenza di gravidanza dopo 12 mesi di rapporti non protetti e colpisce il 15% delle coppie.
Le cause di infertilità possono essere tante e gli studi sono spesso discordanti tra loro.

In questo articolo ho fatto una piccola sintesi di review dal 2017 ad oggi focalizzandomi sulla donna.

Piccola precisazione: le review fanno un riassunto dei vari studi scientifici, quindi una sorta di media tra quelli che trovano una correlazione e quelli che non la trovano, più studi ci sono, più le evidenze si rafforzano.
Su molti temi e, soprattutto sull’alimentazione, è difficile fare degli studi scientifici rigorosi (non siamo topini in una gabbia che mangiamo solo quello che ci dà l’allevatore senza mai sgarrare…). Ciò non significa che l’alimentazione non abbia un ruolo in tante patologie o in problematiche come la fertilità. È solo più difficile dimostrarlo.

Quali fattori possono influire?

In questo articolo vi parlerò della relazione tra peso e fertilità e quali alimenti, nutrienti e modelli alimentari possono migliorarla.

BMI o IMC e fertilità

Il BMI è un indice che inquadra il soggetto in base al peso in relazione all’altezza e sappiamo già che non è sempre un indice attendibile. In generale si è visto che donne con un BMI inferiore a 20 o superiore o uguale a 30 hanno maggiori rischi di infertilità.
Inoltre, un BMI compreso tra 30 e 35 corrispondente a obesità di 1° grado, porta a un maggior fallimento dei percorsi di riproduzione assistita rispetto a un BMI compreso tra 18,5 e 25 (2).

Un BMI troppo basso è indice di scarsa massa grassa e di poco grasso essenziale, ovvero quella quantità di grasso fondamentale per tanti meccanismi fisiologici tra cui la produzione degli ormoni sessuali.
Un BMI troppo basso può essere legato anche a malnutrizione e, una donna denutrita, non è in grado di portare avanti una gravidanza ed un allattamento in quanto altamente dispendiosi. L’organismo instaura quindi un meccanismo di sopravvivenza con l’ amenorrea ovvero la scomparsa del ciclo mestruale o con l’ anovulazione cioè l’assenza di ovulazione anche se le mestruazioni continuano ad esserci (1).

Un BMI troppo alto invece, potrebbe indurci a pensare che sia più vantaggioso per una gravidanza ma non è così. Un BMI troppo alto è spesso correlato ad alterazioni ormonali come l’insulino-resistenza (ne parlo qui Insulino resistenza e dieta) e uno stato di infiammazione generale, tutte condizioni che possono interferire con la fertilità (1).

Migliorare la fertilità in caso di BMI troppo alto o troppo basso è possibile. Gli studi ci dicono che è fondamentale correggere la malnutrizione per un BMI basso e perdere almeno il 5% del peso per un BMI alto. Lo studioso Chavarro aggiunge inoltre che un’alimentazione corretta migliora la fertilità anche in presenza di BMI sfavorevole (2). Gli stessi vantaggi possono essere ottenuti con l’attività fisica.

Alimenti e fertilità

L’alimentazione può quindi migliorare la fertilità della donna anche in presenza di BMI sfavorevole, ma quali alimenti possono migliorarla o peggiorarla?

Carne rossa

La carne rossa pare influenzare negativamente la fertilità alterando l’ovulazione.  Nei percorsi di fecondazione assistita sembra ostacolare la formazione della blastocisti  ovvero il piccolo agglomerato di cellule che si forma dalla divisione dell’ovulo fecondato (2) . Inoltre è ricca di grassi saturi che possono veicolare contaminanti (4). Servono comunque maggiori evidenze.

Pesce

Il pesce ha invece un effetto positivo sulla fertilità. Ci sono forti evidenze sulla correlazione tra consumo di pesce e minor tempo per avere una gravidanza. Queste evidenze concordano con le indicazioni dell’ American College of Obstetricians and Gynecologists che consigliano di consumare 2-3 porzioni di pesce a settimana limitando quello più ricco di mercurio a non più di 1 volta a settimana. Sono ricchi di mercurio i pesci più grossi come pesce spada, tonno, salmone, ecc. Tali consigli valgono sia per chi cerca una gravidanza che per chi lo è già (5).

Latticini

Gli studi sui latticini sono inconsistenti e spesso contrastanti. Alcuni studi suggeriscono un possibile effetto negativo sulla riserva ovarica mentre nello studio NHS-II i latticini interi sembrano avere un effetto positivo rispetto a quelli a basso contenuto di grassi.
Non sembrano inoltre alterare la fertilità o interferire con la fecondazione assistita (4, 5).
Tuttavia fino a qualche anno fa una dieta povera di latte e derivati sembrava migliorare il quadro dell’ovaio policistico (6).
Attendiamo maggiori evidenze.

Soia

Anche sulla soia la situazione non è chiarissima. Dalle ultime review la soia non sembra interferire sulla fertilità e sembra avere addirittura un effetto positivo sulla fecondazione assistita anche se alcuni studi la correlavano ad una più bassa probabilità di avere una gravidanza (4, 5, 7).

Alcool e caffeina

Non ci sono studi molto affidabili. Gli effetti avversi dell’alcool nello sviluppo fetale sono ormai ampiamente comprovati come anche l’aumento di aborto con un eccesso di caffeina, sulla fertilità e sulla fecondazione in vitro non si hanno invece dati certi (4).

Nutrienti e fertilità

Acidi grassi

L’introito più alto di acidi grassi polinsaturi, in particolare di omega 3, e la concomitante riduzione di acidi grassi trans, sembrano aumentare la fertilità femminile (5).
Gli acidi grassi sono il substrato energetico durante la maturazione dell’oocita e lo sviluppo embrionale, ma sono anche i precursori di fattori importanti per l’impianto e il mantenimento della gravidanza.
Nello studio PRESTO (Usa e Canada) l’assunzione di omega 3 ha un impatto positivo sulla fertilità rispetto a chi non li assume.
Gli acidi grassi trans aumentano invece l’insulino-resistenza e hanno un effetto negativo sull’ovulazione.
Non è invece chiarissimo il ruolo degli omega 6, dei grassi saturi e monoinsaturi (5).

Acido folico e folati

Chiariamo innanzitutto che l’acido folico è la forma di sintesi che deve essere convertita dal nostro organismo in folato per essere utilizzata.
Gli studi ci dicono che bassi livelli di folati portano ad anovulazione e a un maggior rischio di aborti (1). Lo studio NHS-II suggerisce che le donne che assumono acido folico a un dosaggio superiore a quello raccomandato riduce il rischio di aborto spontaneo. L’assunzione deve avvenire già da prima della gravidanza e nelle sue prime fasi. In un altro studio l’acido folico ha un impatto positivo in donne con bassa fertilità che si sottopongono alla fecondazione assistita.
Questi benefici sembrano esserci con un’assunzione superiore a quelle raccomandate per la prevenzione dei difetti del tubo neurale. Mancano dei trial che mettano in relazione le diverse dosi alla fertilità (5).

Vitamina D

I recettori per la vitamina D sono presenti su tutto l’apparato riproduttore femminile comprese ovaie ed endometrio.
Uno stato di deficienza della vitamina D potrebbe essere dannoso per la fertilità. Non è chiaro però se livelli più alti di vitamina D possano conferire benefici addizionali.
Livelli sierici di deficienza sembrano essere correlati ad esiti negativi della fecondazione assistita. Servono comunque degli studi più precisi per determinare gli effetti della supplementazione e a che dosaggi possa dare dei benefici (5).

Modelli alimentari

Nelle review analizzate sono indicati alcuni modelli alimentari utili a migliorare la fertilità.

Linee guida dietetiche americane

Il tipo di alimentazione consigliato da queste linee guida prevede un grande consumo di cereali integrali, oli mono e polinsaturi, verdura, frutta e pesce.
Questo modello alimentare è stato correlato a un miglioramento della fertilità femminile e a una maggiore qualità del seme nell’uomo (2).

Fertility diet

Nello studio NHS-II, la “fertility diet” è stata correlata a un minor rischio di infertilità e problemi ovulatori.  La “fertility diet” prevede il consumo di fonti proteiche vegetali, latticini interi, giusta assunzione di ferro e grassi monoinsaturi (2,5).

Dieta Mediterranea

La dieta Mediterranea influenza positivamente la possibilità di una gravidanza naturale o con la fecondazione assistita. Proprio l’olio extravergine di oliva sembra fare la differenza rispetto ad altri stili alimentari salutari ma con diverse fonti di grassi (2, 4, 5).

Riassumendo, tutti e tre i modelli alimentari sopracitati hanno come comune denominatore  il consumo elevato di cereali integralifruttaverduraproteine vegetali (legumi)pesce.
Tali modelli alimentari non migliorano solo la fertilità femminile ma anche quella maschile.  Migliora la qualità del seme, la morfologia, la motilità e la concentrazione degli spermatozoi. Inoltre è vantaggioso assumere acido folico (meglio se folati in forma attiva) già da prima della gravidanza e di correggere eventuali carenze di vitamina D. È utile anche ridurre il consumo di carne rossa e aumentare quello di pesce. Riguardo alla soia e latticini attendiamo maggiori informazioni e rimarrei al momento sulla bassa frequenza.
Infine mantenersi in salute con un peso idoneo ed un minimo di attività fisica.

Vorrei aggiungere anche che in questa mia piccola ricerca ho fatto un po’ il sunto delle evidenze più forti ma non sono conclusive.

Bibliografia

  1. Skrzypek, Michal et al. Application of dietetics in reproductive medicine. Annals of Agricultural and Environmental Medicine, vol. 24, no. 4, 2017, pp. 559-565. doi:10.26444/aaem/76997.
  2. Panth, Neelima et al. The Influence of Diet on Fertility and the Implications for Public Health Nutrition in the United States. Frontiers in public health6, 211. doi:10.3389/fpubh.2018.00211
  3. Jasienska, Grazyna et al. Human reproduction and health: an evolutionary perspective
    The Lancet, Volume 390, Issue 10093, 510-520. doi: 10.1016/S0140-6736(17)30573-1
  4. Gaskins, Audrey J. et al. Diet and fertility: a review.
    American Journal of Obstetrics & Gynecology, Volume 218, Issue 4, 379-389. doi: 10.1016/j.ajog.2017.08.010
  5. Chiu, Yu-Han et al. Diet and female fertility: doctor, what should I eat?
    Fertility and Sterility, Volume 110, Issue 4, 560-569. doi: 10.1016/j.fertnstert.2018.05.027
  6. Rooney and Domar. The impact of lifestyle behaviors on infertility treatment outcome. Curr Opin Obstet Gynecol. 2014 Jun; 26(3): 181–185. doi: 10.1097/GCO.0000000000000069
  7. Jacobsen, Bjarne K et al. Soy isoflavone intake and the likelihood of ever becoming a mother: the Adventist Health Study-2. International journal of women’s health6, 377-84. doi:10.2147/IJWH.S57137

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Foto di Nataliya Vaitkevich da Pexels

12Nov

Insulino resistenza e dieta

Cos’è l’insulina?

L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule beta del pancreas in risposta alle variazioni glicemiche.

Dopo un pasto, i livelli di glicemia (glucosio=zucchero) nel sangue si innalzano e l’insulina li abbassa facendo entrare glucosio nelle cellule.

Cosa vuol dire insulino resistenza?

L’ insulino resistenza o resistenza all’insulina (IR) è la condizione in cui le cellule sono meno sensibili allo stimolo dell’insulina e, visto che la glicemia continua a rimanere alta, il pancreas produce ulteriore insulina per “farla sentire” alle cellule.
In questa fase, che può durare anni, la glicemia a digiuno misurata nel sangue è ancora nei parametri grazie all’aumentata produzione di insulina detta iperinsulinemia. Il pancreas però inizierà a risentirne, le cellule beta inizieranno a “usurarsi” e quelle funzionanti saranno sempre meno portando a un’ inadeguata produzione insulinica, si andrà così verso il diabete di tipo 2.

Quali sintomi?

Soffrire di insulino resistenza o essere addirittura in prediabete, non porta a sintomi netti, ma ci sono dei segnali che possono farci sospettare che qualcosa non va anche se la glicemia a digiuno è nei parametri.

Tra questi vi sono:

  • Acanthosis nigricans: sono delle aree della pelle più scure, in genere nelle pieghe come dietro al collo, sotto le ascelle, nell’inguine. A primo impatto può sembrare una scarsa cura della persona, invece è dovuto a una iperpigmentazione della pelle e si associa a diversi disordini tra cui l’insulino resistenza
  • Fibromi penduli: piccole escrescenze cutanee che possono comparire anche sopra le aree di Acanthosis nigricans
  • Letargia e stanchezza
  • Fame
  • Difficoltà di concentrazione (brain fog)
  • Eccesso di grasso viscerale
  • Ipertensione
  • Livelli alti di colesterolo

Come si diagnostica?

È il medico o lo specialista a fare la diagnosi in seguito a OGTT (Oral Glucose Test Tolerance) ovvero a curva da carico orale di glucosio associata a curva insulinemica. Questi sono dei test diretti, ma ci sono anche dei test indiretti e meno invasivi come l’Indice di Homa.

L’Indice di Homa o Homa Index (trovate diversi calcolatori online) mette in relazione i valori di glicemia e insulina a digiuno e se tale valore è superiore a 2,5 si può supporre che ci sia insulino resistenza. Ciò vuol dire che se l’Indice di Homa è superiore a 2,5 o anche vicino e ci sono già alcuni dei sintomi sopradescritti forse è meglio indagare col vostro medico in maniera più approfondita. È un indice che spesso può dare falsi negativi ed anche quando è positivo, la diagnosi deve essere confermata con test più precisi come l’OGTT.

Quale dieta con insulino resistenza?

Una volta avuta la diagnosi di insulino resistenza, non disperate. È ancora una condizione reversibile con un’opportuna dieta ed esercizio fisico. Direte…sempre la solita solfa del cambio di stile di vita. Sì, dobbiamo essere consapevoli che è proprio lo stile di vita attuale ad aver portato un aumento esponenziale dei malati di diabete.

Ma andiamo al dunque. Che tipo di dieta posso seguire per migliorare la mia situazione?

Il problema principale è l’accumulo di zuccheri nel sangue e questo sia in termini assoluti che come frequenza durante il giorno. Mi spiego meglio: se ho l’abitudine di mangiucchiare ogni mezz’ora, è chiaro che avrò continui aumenti della glicemia più o meno repentini che il nostro pancreas cercherà di gestire al meglio tramite l’insulina.

Alla luce di ciò potrebbe essere utile ridurre il numero di pasti giornalieri anche ai soli 3 principali, ma quest’ultimi dovranno essere dei pasti ben bilanciati (non il solo piattone di pasta per intenderci!). Già con queste due piccole accortezze, la glicemia dovrebbe incrementare meno repentinamente dando un senso di sazietà più a lungo.

Ma ci sono anche altre strategie.

Sicuramente le diete low carb e quindi a basso contenuto di carboidrati possono essere un’opzione, come anche l’alternanza di giornate a più alto contenuto di carboidrati con altre a più basso. L’obiettivo è ridurre le impennate glicemiche e fare in modo che si riduca la quantità di insulina necessaria per abbassare la glicemia.

Anche il digiuno intermittente può rientrare tra queste alternative proprio perché prevede sicuramente una restrizione calorica e fasi di digiuno dove il pancreas va a “riposo” (1).

Finora ho parlato di strategie dietetiche “soft”, ma non possiamo dimenticare la dieta chetogenica. La dieta chetogenica (ne ho parlato qui e qui) aiuta tanto nell’ insulino resistenza e, in alcuni casi più avanzati, può essere anche l’unica strategia dietetica vincente. A tal proposito iniziano a venire fuori anche degli studi scientifici in cui dei pazienti con diabete di tipo 2 sono riusciti a ridurre i farmaci anti-diabete proprio grazie alla dieta chetogenica (2).

Come potete vedere, le alternative dietetiche sono tante e tutte prevedono una diminuzione dei carboidrati giornalieri più o meno ampia. Quale possa essere quella più adatta a voi lo stabilisce il professionista (dietologo, biologo nutrizionista, dietista) tenendo conto di tutto il quadro (le vostre abitudini, i vostri ritmi, farmaci assunti, ecc).

Ribadisco…se volete mettere il turbo al tutto, dovete fare attività fisica e non dimentichiamoci che l’esercizio fisico rende le cellule dei muscoli più sensibili all’insulina, un farmaco naturale a tutti gli effetti!

Fonti

  1. Early Time-Restricted Feeding Improves Insulin Sensitivity, Blood Pressure, and Oxidative Stress Even without Weight Loss in Men with Prediabetes.
  2. A Novel Intervention Including Individualized Nutritional Recommendations Reduces Hemoglobin A1c Level, Medication Use, and Weight in Type 2 Diabetes.
  3. https://www.diabetes.co.uk/insulin-resistance.html
  4. https://www.niddk.nih.gov/health-information/diabetes/overview/what-is-diabetes/prediabetes-insulin-resistance
21Set

Colon irritabile e dieta low FODMAP: quando i FODMAP non c’entrano

È sempre colpa dei FODMAP?

Qualche tempo fa vi ho parlato della dieta FODMAP o dieta a basso contenuto di FODMAP per la gestione della sindrome da colon irritabile o IBS che se avete voglia di approfondire trovate qui.

È un approccio alimentare molto studiato e che dà veramente dei risultati tangibili, ma altre volte si rimane perplessi e non si riesce a trovare un nesso logico.

Un dubbio ricorrente è quello di non riuscire a capire quanto tempo possa intercorrere tra l’assunzione di un alimento e la manifestazione dei sintomi. La tempistica varia da persona a persona e dipende da vari fattori. Ricordiamoci sempre che non esistono alimenti con contenuto di FODMAP pari a zero e che l’effetto è cumulativo.

Di norma, il cibo ha bisogno di 2-24 ore per giungere al colon ed infine al retto, ma dipende molto dalla propria motilità intestinale.

Ma allora perché a volte corriamo in bagno dopo nemmeno mezz’ora dal pasto?

Anatomia dell’intestino

La sindrome del colon irritabile interessa appunto il colon ovvero parte del grande intestino o intestino crasso (large intestine). Come potete vedere dall’immagine, prima che il cibo arrivi al colon, deve superare lo stomaco ed il piccolo intestino o intestino tenue (small intestine). Il piccolo intestino (piccolo per il diametro) ha una lunghezza media di 6-7 metri ed è difficile che l’alimento possa giungere al colon in tempi brevi infatti servono almeno un paio d’ore.

Allora cosa scatena i sintomi in tempi brevi?

Riflesso gastro-colico

Il riflesso gastro-colico è un segnale che lo stomaco manda all’intestino per permettergli di svuotarsi prima dell’arrivo di altro cibo. L’intestino inizia a contrarre le pareti e parte lo stimolo della defecazione.
In alcuni soggetti che soffrono di IBS, questo riflesso è molto più accentuato ed, in presenza di cibi particolarmente grassi o pasti abbondanti o bibite troppo fredde, può portare alla corsa in bagno dopo pochi minuti dal pasto.
E se il pasto precedente conteneva un alto quantitativo di FODMAP e grazie al riflesso gastro-colico ha raggiunto il colon? In tal caso, potremmo avere dei sintomi che non c’entrano nulla col pasto immediatamente precedente ma che correlano ad almeno 2 pasti prima. È bene quindi tenere sempre un diario alimentare in modo da non confondere le associazioni tra alimento e sintomi.

SIBO o sovracrescita batterica del tenue

Abbiamo seguito le 4 settimane di dieta low FODMAP e siamo nella fase di reintroduzione, ma ahimè qualsiasi categoria proviamo dà subito gonfiore e malessere subito dopo il pasto.
Ricordate il piccolo intestino o intestino tenue con i suoi 6 metri di lunghezza? Come abbiamo visto sopra, si trova molto prima del colon, ma, per qualche motivo che non indaghiamo qui, dei ceppi batterici del colon si sono spostati ed hanno colonizzato il tenue. Ciò porta a gonfiore, flatulenza, diarrea, nausea, stanchezza, difficoltà digestive e sintomi abbastanza immediati in quanto l’intestino tenue è la prima porzione di intestino con cui il cibo viene a contatto.
Anche in questo caso i FODMAP non c’entrano. Serve una diagnosi medica e spesso è necessaria una terapia antibiotica per eradicare questi batteri “fuori posto”.

Caffeina

Spesso ridurre il contenuto di FODMAP non basta per alleviare i sintomi da IBS. Nei soggetti più sensibili fare una colazione a basso contenuto di FODMAP con l’aggiunta di una bella tazzina di caffè può portare comunque a scariche diarroiche. La caffeina accelera infatti la peristalsi intestinale e confondere la nostra fase di reintroduzione.

Queste sono 3 diverse situazioni che possono spiegare la corsa in bagno subito dopo il pasto e che possono mandare in confusione chi sta seguendo il protocollo FODMAP.

Il consiglio è dunque di affidarsi ad un professionista (dietologo, biologo nutrizionista, dietista) che conosca tale protocollo e di stilare un diario alimentare.

10Lug

La dieta FODMAP – Esempio di giornata tipo contro pancia gonfia e colon irritabile

La dieta FODMAP è  un approccio alimentare in grado di ridurre sintomi come la pancia gonfia che è un fastidio molto ricorrente e si associa a diversi fenomeni fisiologici e non: cambiamenti ormonali, problemi all’apparato gastrointestinale, intolleranze alimentari, sindrome del colon irritabile, ecc.

FODMAP – Sindrome dell’intestino-colon irritabile

La sindrome dell’intestino-colon irritabile o IBS (detta anche colite spastica, colite nervosa, colonpatia funzionale) è una patologia cronica ricorrente che non si associa ad anomalie strutturali dell’intestino, ma può avere una stretta correlazione con la sfera emotiva (ansia, stress, depressione) o con fenomeni di intolleranza alimentare generando alterata motilità intestinale (stipsi o diarrea).

Fino a qualche anno fa, si dava poco peso all’alimentazione per questo tipo di disturbo e ci si limitava a consigliare un maggior/minor consumo di fibra.

Nel 1999 al Monash University in Australia la D.ssa Sue Shepherd sviluppò la cosiddetta DIETA FODMAP, dieta che negli anni successivi fu testata su pazienti con IBS. I risultati furono tali che nel 2010 tale dieta è entrata a far parte delle linee guida mediche britanniche e nel 2011 di quelle australiane per la cura di questa patologia.

Cosa sono i FODMAP?

Il termine FODMAP è un acronimo inglese ricavato da una lista di alimenti che hanno dato fenomeni fisiologici (gonfiore, nausea, meteorismo, crampi, diarrea, stipsi) a pazienti con IBS.

FODMAP

Fermentable

Oligosaccharides

Disaccharides

Monosaccharides

And

Polyols

Queste molecole sono tutti carboidrati a catena corta che hanno la capacità di attirare acqua nel tratto intestinale e, se non siamo in grado di digerirli o assorbirli bene, possono essere fermentati dai batteri intestinali causando fastidi intestinali.

OLIGOSACCARIDI 

Sono fruttani e galatto-oligosaccaridi contenuti in frumento, segale, orzo, cipolla, porro, aglio, scalogno, carciofi, rape rosse, finocchi, piselli, pistacchi, anacardi, fagioli, lenticchie e ceci.

DISACCARIDI

Si intende il lattosio ovvero lo zucchero di latte e derivati (formaggi freschi, creme, gelato e yogurt).

MONOSACCARIDI

Il fruttosio è lo zucchero della frutta e, se presente in eccesso rispetto al glucosio, può essere poco tollerato. È il caso di mele, pere, mango, ciliegie, anguria, asparagi, miele, sciroppo di fruttosio, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS).

POLIOLI

Dolcificanti che finiscono in -olo come sorbitolo, mannitolo, xilitolo, maltitolo, inulina e isomalto contenuti in mele, pere, albicocche, ciliegie, nettarine, pesche, prugne, anguria, funghi, cavolfiore, caramelle, gomme da masticare, mentine e dolci senza zucchero (dove vengono usati dolcificanti artificiali per sopperire alla mancanza di zucchero)

Questi zuccheri danno problemi con l’accumulo, cioè un singolo alimento ad alto contenuto di FODMAP può anche non dare fastidi, ma se associato ad altri alimenti ad alto contenuto di FODMAP, allora si avrà un effetto sommatorio portando alla comparsa dei sintomi citati prima.

Dieta low-FODMAP (dieta FODMAP)

Tale dieta ha una notevole efficacia nella riduzione dei sintomi dei pazienti affetti da IBS come dimostrato dai diversi studi effettuati, ma essendo una dieta molto restrittiva, è bene farsi seguire da un professionista (dietologo/nutrizionista/dietista) per avere un piano alimentare bilanciato onde evitare carenze nutrizionali.

Si distinguono tre fasi:

  • prima fase di 4-8 settimane di alimentazione a basso contenuto di FODMAP o low-FODMAP per permettere di alleviare i sintomi
  • seconda fase di reintroduzione degli alimenti scandita dallo specialista in tempi e quantità e con l’ausilio di un diario alimentare per monitorare i sintomi. La reintroduzione deve essere fatta per gradi per testare il proprio livello soglia di tolleranza. E’ un percorso totalmente soggettivo che permette di identificare alimenti tollerati e non e, se tollerati, in che quantità massima
  • terza fase di autogestione dei sintomi sul lungo termine dove il paziente impara a gestire anche i cibi ad alto contenuto di FODMAP

Esempio di giornata tipo low-FODMAP (dieta FODMAP)

Di seguito un esempio di dieta FODMAP con i cibi consentiti dal Monash University fondatori della dieta FODMAP.

COLAZIONE Latte ad alta digeribilità con fiocchi d’avena e noci
PRANZO Gnocchi di patate (con farina di riso o quinoa) al pomodoro
Scaloppine di pollo al limone
Insalata mista di lattuga e finocchi
Uva
CENA Merluzzo con pomodorini e olive e contorno di rucola
Pane senza glutine
Melone cantalupo
SPUNTINI Fragole o ananas

Ricordo e sottolineo che questa strategia alimentare allevia i sintomi e li rende più gestibili e che il fai da tè può essere molto rischioso senza le dovute conoscenze.

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